mercoledì 9 settembre 2015

Su L'espresso: La musica torna a dar voce alla protesta

Espresso.repubblica.it Il mondo del rock e quello del jazz si mobilitano con canzoni e iniziative che interpretano il disagio e la voglia di cambiamento della gente. Da Paolo Fresu, a Neffa ai Cccp, sono molti gli artisti che preparano un "autunno di resistenza".

Di Alberto Dentice


C’erano una volta i cantautori. Le loro voci, schierate a sinistra, sono state per anni la colonna sonora di una formidabile macchina politica: pensiamo solo ai festival de “l’Unità” o al concertone del Primo Maggio. Ora la sinistra sembra sparita dal radar e quel coro che in passato aveva unito i cantautori in una vibrante protesta si è trasformato in un controcanto:Francesco De Gregori, un tempo portavoce della sinistra giovanile italiana è stato il primo a prendere le distanze. Poi, a ruota, anche Fiorella Mannoia,Luciano Ligabue e Jovanotti hanno espresso il loro malcontento nei confronti dei partiti, visti come ostaggi delle vecchie logiche di potere e lontani dai problemi della gente comune.

Contemporaneamente, però, molti artisti sono tornati a prendere il microfono per dar voce a suon di musica e poesia al disagio e alla voglia di cambiamento della gente. Le questioni, spesso, sono le stesse che animano il dibattito pubblico: dalla lotta alle mafie al problema dei rifugiati, dal degrado ambientale al lavoro che non c’è. Un nuovo impegno, quindi: anche se intrecciato con la contestazione ai partiti, alla politica così com’è. E la gente ascolta, si commuove, partecipa.

«Ciò che ti riguarda mi riguarda come ciò che lo riguarda ti riguarda se siamo ammanettati tutti insieme alla stessa bomba»: una frase semplice che resta in testa e colpisce al cuore più della valanga di tweet e di tante dichiarazioni ufficiali in materia di accoglienza ed emigrazione. È tratta da “Il padrone della festa” di Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè. Migliaia di ragazzi e ragazze durante il concerto la cantano in coro, come se si parlasse del loro stesso futuro. Soprattutto quando i tre amici intonano :«Il tetto delle nostre aspettative è così basso che si potrebbe anche toccare… e la vita media di una prospettiva è una campagna elettorale». Dalla Sicilia risponde la voce di Federico Doria, giovane cantautore con esperienza nel Pd locale, finalista di Arezzo Wave: «Sento un cattivo odore, è la morte in fondo al cuore, quando entro in cabina elettorale».

Certo, adesso nessuno pretende più di dare la linea, come si usava dire una volta. Su questo punto perfino O’ Zulu, voce dei napoletani 99 Posse, espressione della sinistra più estrema, è stato chiaro: «Questo essere il Che Guevara della rivoluzione italiana è solo un’immagine che ci era stata cucita addosso per vendere dischi. Adesso basta!». Eppure, il fatto che proprio quest’anno tornino a far parlare di sé i Cccp Fedeli alla linea, quelli di “Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi”, ossia la punk band emiliana che negli anni Ottanta proprio sull’ideologia aveva costruito il suo vocabolario sovversivo, può essere interpretato come un segno dei tempi.

Esattamente venticinque anni fa, poco dopo la caduta del Muro di Berlino, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni e soci pubblicavano “Etica, Epica, Etnica, Pathos” l’apocalittica invettiva con cui Ferretti, autore dei testi, profetizzava che niente da quel momento sarebbe stato più come prima, denunciando con una lucidità visionaria che molto doveva a Pier Paolo Pasolini la deriva consumistica, l’impoverimento culturale, lo smarrimento morale a cui da quel momento sarebbe andato incontro il nostro paese.

Quel doppio album, mai eseguito del vivo, sarà portato per la prima volta sulla scena (il 27 novembre, Auditorium Parco della Musica nell’ambito del Romaeuropa Festival ) in un concerto che, con l’eccezione di Ferretti, riunirà il nucleo storico della formazione emiliana (Gianni Maroccolo, Massimo Zamboni, Francesco Magnelli e Giorgio Canali) e alcuni degli esponenti più interessanti della scena indipendente odierna, da Vasco a Brondi, Brunori Sas, da Lo Stato Sociale ad Angela Baraldi. «Ci piace pensare che il patto generazionale spezzato dalla malapolitica possa riannodarsi grazie a un’opera che conserva inalterata la sua attualità», sottolinea Maroccolo che del progetto fu anche il produttore. «Pezzi come “Maciste contro tutti” o la suite “Aghia Sophia” con il magnifico testo di Giovanni ispirato al tedio di tante domeniche italiane punk e drogate sembrano scritti oggi».

Forse è esagerato parlare di un autunno caldo del rock e della canzone d’autore. Ma che sia in atto un movimento di resistenza che vuole esprimersi attraverso la musica è un dato di fatto. Proprio “Materiale resistente 1945-1995”, era il titolo della raccolta pubblicata dal Consorzio suonatori indipendenti (ex Cccp) nel cinquantenario della Resistenza e “Resistenza” è anche il titolo del nuovo album di Neffa in arrivo in questi giorni. Molte voci del rock e della canzone richiamano quei valori condivisi che in teoria dovrebbero appartenere alla sinistra.

Troppo politicizzati? Qualcuno ci scherza su. Anzi, Michele Salvemini - in arte Caparezza - su questo tema ha scritto una canzone, “Troppo politico”, appunto, confermando ancora una volta di essere un fuoriclasse. Nessun altro artista finora ha saputo denunciare con la stessa spietata ironia il disastro ambientale e umano causato nella sua regione da anni di malapolitica e menefreghismo come ha fatto Caparezza in “Vieni a ballare in Puglia”. La diossina dell’Ilva, i veleni dell’Eni, il fumo delle ciminiere e quello degli spinelli, gli schiavi africani dei campi di pomodori, gli abusi edilizi. Le gente balla e si diverte sul ritmo forsennato ascoltando l’irresistibile catalogo degli orrori. E intanto pensa alle responsabilità di chi per decenni ha governato voltandosi dall’altra parte.

Contano sì il coraggio, il talento, la fantasia. Ma il patrimonio più prezioso per un artista che affronti certe questioni resta la credibilità. E non tutti ce l’hanno. Una canzone non è un comizio, ma una storia in musica che deve emozionarti e magari farti sorridere specie quando denuncia che il re è nudo. Se non credi a quel che canti, non ci crede nemmeno chi ascolta. Lo sa bene anche Giuseppe Giacalone, in arte Jaka, popolare rastaman siciliano, buddista e di sinistra che nelle sue canzoni (l’ultimo Lp s’intitola “Invincible soul”) racconta senza fare sconti le laceranti contraddizioni dell’isola, dispensando al tempo stesso buonumore e una carica irresistibile di energia positiva. Tutto il contrario, insomma, di quanto fanno di solito, salvo rare eccezioni, i truci protagonisti del rap nostrano che si affacciano regolarmente in tv.

Non soltanto canzoni però. Anche le azioni contano. «In ballo ci sono questioni epocali, non è lecito starsene alla finestra», dice Andrea Satta, da sempre voce e parole dei Tetes de Bois. «I registi lo fanno con il cinema, lo fanno gli scrittori, non vedo perché ci si stupisca quando si mobilitano i musicisti». Da anni, spostandosi a bordo di un camioncino Fiat 615, i “Tetes” si calano nella realtà del mondo del lavoro e dell’immigrazione. Lo scorso luglio, assieme a Vauro, la band si è recata sui massi di Ponte San Ludovico, sulla frontiera italo-francese per raccogliere il canto di protesta dei migranti bloccati dopo la chiusura del confine con l’Italia da parte dell’Eliseo. Grazie alla musica dei Tetes, quelle parole sono diventate una ballata blues di desolante bellezza, s’intitola “We are not going back” la potete ascoltare su Youtube assieme al video che documenta questa pagina vergognosa della nostra storia recente.

Anche Carmen Consoli, da sempre in prima fila in difesa dei diritti delle donne e non solo, si è mobilitata. Con la sua etichetta, “Narciso Record”, ha prodotto “Le Malmaritate” un progetto musicale tutto al femminile che sostiene l’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa. «La felicità dell’uomo, la cultura, la bellezza, l’ambiente, su questi temi fondamentali la politica continua a fare troppo poco. In questo vuoto, Papa Francesco mi sembra l’unico che dica qualcosa di sinistra», dichiara la pasionaria catanese. Convertita? «Niente affatto, sono una portatrice sana di peccato originale, non certo una devota credente, eppure le aperture di questo Papa, ora anche sui gay, sulle coppie divorziate e l’allattamento in chiesa mi hanno spiazzato», prosegue. «A questo punto, mi chiedo se non sia l’Anticristo. Chi è il diavolo in fin dei conti: il povero migrante sul barcone? L’omosessuale? Il comunista? Il relativista? Il terrone? La femmina con il suo bagaglio di peccato originale? Satana per me è solo marketing. È il nemico di convenienza, è anche il serpente “ammugghiato” sulla croce della farmacia. È la Conoscenza. E Francesco lo converte pure».

Nel frattempo, anche Vinicio Capossela è passato all’azione con un progetto di grande ambizione culturale e politica. Lo “Sponz Fest”, la tre giorni di musica, balli, incontri d’arte e convegni che si è appena conclusa nella sua Calitri (Irpinia) vuol essere qualcosa di più e di diverso da una festa del Santo Patrono e immaginare per il Sud un modello di sviluppo alternativo a quello prospettato con lo “Sblocca Italia” dalla sinistra al Governo.

Di tutt’altro tenore la grande mobilitazione di tutto il jazz italiano dello scorso 6 settembre all’Aquila. Scopo dichiarato: contribuire all’opera di sensibilizzazione per la ricostruzione mai ultimata (e forse neppure iniziata) del centro storico della città che gli abitanti attendono da anni. Protagonisti dell’inedito abbraccio un musicista di indiscusso talento e di grande ambizione come Paolo Fresu e un ministro per i Beni e le Attività Culturali animato da una gran voglia di fare e in cerca di una esposizione mediatica come Dario Franceschini.

Finora solo il mondo del rock era riuscito a mobilitarsi per eventi di questa portata. Un’occasione storica per il jazz italiano, ai vertici mondiali per la qualità dei suoi artisti, ma ancora in attesa di un riconoscimento e di tutele adeguate da parte delle istituzioni. All’evento parteciperanno circa seicento musicisti. Forse troppi per un selfie con il ministro. Ma stringendosi un po’ si può rimediare e la foto farà certamente il giro del mondo.